Azienda

Ettore e Dante Garavini insieme ai loro dipendenti

La Fabbrica parte dall’Antica Civiltà Contadina

L’azienda Garavini era situata in Via della Libertà, ancora oggi si possono vedere i tanti capannoni che ospitavano la produzione e la palazzina con gli uffici direzionali. Quando l’azienda iniziò la produzione era il 1930 e in buona parte dell’Italia vi era ancora un’agricoltura arcaica, poco meccanizzata, tanto che le primissime macchine Garavini erano a trazione animale, proprio come accadeva nei secoli e nei millenni precedenti: l’aratro, o la seminatrice era attaccata attraverso il timone al giogo dei buoi e poi “guidata” dal contadino che la seguiva a fianco, a piedi.

Stabilimento Garavini

Il passaggio alla macchina motorizzata fu un importante cambiamento, non solo tecnologico, ma anche culturale: si doveva dimostrare ai piccoli proprietari terrieri che era più vantaggioso avere a che fare con un motore a scoppio che con un paio di animali da soma. Ci si riuscì, grazie ad efficaci campagne pubblicitarie e soprattutto grazie ai risultati ottenuti sul campo. Tornando all’aspetto tecnico, abbinare delle motorizzazioni e dei sistemi di guida alle macchine agricole non fu un grosso problema per la Garavini, visto che Dante aveva conseguito la laurea in Ingegneria Meccanica presso il prestigioso Politecnico di Torino ed in più aveva lavorato alle dipendenze della Bianchi di Milano, una delle più grandi case automobilistiche dell’epoca.


Nuovi prodotti e nuove logiche commerciali

Seminatrice Garavini

In particolare queste innovative e tecnologiche macchine venivano acquistate delle grandi aziende agricole: come le immense cascine nel settentrione, le cooperative del centro Italia o le sterminate tenute del sud. In merito c’è da menzionare anche un innovativo sistema di vendita, che oggi chiameremmo di marketing: per vendere ai grandi proprietari i vari prodotti, la Garavini organizzò diverse squadre di abili coltivatori che si trasferivano per settimane con le macchine nuove presso questi proprietari e coltivavano i loro terreni. Il padrone delle terre, solo al termine del lavoro e dopo essersi convinto della qualità dei mezzi, procedeva con l’acquisto.

E in tal modo Garavini conquistò davvero tanti clienti. Comunque, se vogliamo individuare il cuore del successo di questi prodotti, la parola d’ordine era una sola: Brevetto, l’ingegner Dante ne sfornò a profusione e personalmente, con l’aiuto dell’inseparabile Capo Officina, il Signor Giuseppe Baldini, testava in continuazione l’efficacia dei nuovi sistemi.

I materiali con cui venivano costruite le macchine erano tutti di altissima qualità e la maestria nel curare i dettagli, elevatissima, come ad esempio la verniciatura: oltre all’inconfondibile tinta verde, venivano pitturati manualmente i vari dettagli meccanici con altri colori. Insomma grande attenzione anche per l’aspetto estetico. Ancora oggi, a distanza di quarant’anni dalla chiusura della fabbrica, vediamo le macchine agricole Garavini lavorare regolarmente nei campi, oppure fare bella mostra di sé nelle esposizioni di macchine d’epoca restaurate. Ciò è indiscutibilmente la prova che si trattava di prodotti buoni… e anche belli.

Seminatrice primi anni 70


Il grande capitale umano

Un altro esempio da non trascurare era l’organizzazione interna all’azienda: esistevano ovviamente le varie e distinte professionalità, comunque a quanto riportano gli ex dipendenti interpellati, esisteva un elevato livello di responsabilità di ogni lavoratore che intuiva quando era il caso di andare “in aiuto” di un collega e supportarlo in un momento di particolare carico di lavoro. Ecco, la cosa più interessante era che ciò avveniva autonomamente, senza disposizioni “dall’alto”. Ognuno degli operai era ben cosciente di una cosa: dalla fabbrica dovevano uscire le macchine finite, perché erano state ordinate dal cliente.

La beccaccia scolpita da Fusconi Menotti

Vogliamo parlare dell’abilità degli operai? Citiamo a tal proposito il caso di un fuochista che in officina faceva il battilamiera, il Signor Fusconi Menotti. Lui con il ferro ed un martello faceva di tutto, a testimonianza di ciò vi è la famosa beccaccia realizzata da un unico blocco di metallo, impressionante nel suo realismo! Insomma gli aratri erano fatti da un artista. La Garavini era un’azienda dove vi era davvero un buon rapporto fra proprietà e maestranze, un piacevole ambiente di lavoro che in molti che vi hanno preso servizio amano ricordare. Serenità che purtroppo si interruppe durante i terribili anni della Seconda Guerra Mondiale.


Gli anni terribili della guerra

Come narra la storia, in Romagna passava la Linea Gotica e qui vi era il vero e proprio fronte con continui bombardamenti e rappresaglie. In entrambe le abitazioni dei Fratelli Garavini si insediarono truppe ed ufficiali stranieri (prima i tedeschi, poi i canadesi) nei paesi c’era la fame e il pericolo di vita. L’azienda Garavini era stata sequestrata dall’esercito tedesco per la produzione di sistemi bellici. Le macchine agricole erano state messe da parte, la forza lavoro era stata cacciata. Nonostante questi terribili momenti la Famiglia Garavini si mise a disposizione dei propri dipendenti cercando di aiutarli il più possibile, addirittura pagando regolarmente i contributi pensionistici anche con l’azienda ferma. Ma la cattiveria della guerra non risparmiava nulla: quando le truppe nemiche si ritirarono e lasciarono il territorio, in quella mattina di sole si sentì un enorme boato… I soldati nazisti, prima di fuggire, minarono tutta l’azienda Garavini e la fabbrica esplose. Un disastro totale.

E così la guerra era finita. Da ogni parte distruzione. La fabbrica un cumulo di macerie fumanti. Non c’era più nulla in giro, mancava tutto. Mancava anche la materia prima: il ferro. L’ingegner Dante, durante il conflitto era riuscito a nascondere un vecchio camioncino in campagna, sotto le ramaglie e le canne. Quando gli era possibile, lo caricava con qualche pezzo di ferro che trovava. Il giorno dopo la Liberazione Dante si mise subito alla guida di quel camioncino mal funzionante e raggiunse la lontana Domodossola, unica città italiana che aveva ancora una fonderia funzionante e dopo alcuni giorni ritornò con il metallo utile per ricominciare la produzione di macchine agricole. La Famiglia Garavini si mise le mani in tasca e con le proprie sostanze (senza alcun contributo statale) ricostruì la fabbrica, più grande di prima.


La fabbrica riparte più forte di prima

L’immediato dopoguerra fu durissimo, ma poi l’economia riprese a tutta forza. Le aziende si organizzarono diversamente anche sui nuovi modelli industriali importati dall’America. Le frontiere si aprirono, si raggiunsero nuovi mercati ed assunsero grande importanza le fiere di settore, sia in Italia che all’estero.

La Garavini con le sue macchine, i suoi stand e soprattutto i suoi dipendenti si presentò a tutti gli appuntamenti fieristici più importanti, senza saltare mai un’edizione. Ettore curava con i grafici i cataloghi dell’azienda che ormai contavano decine e decine di macchine: seminatrici, erpici, motocoltivatori, aratri, frese, irrigatrici, ripuntatori, frangizolle… Ora l’azienda di San Pancrazio si presentava al fianco dei più importanti Marchi nazionali e internazionali.

Arrivarono riconoscimenti pubblici, da varie istituzioni, ricordiamo quello ricevuto da Aldo Moro, Presidente del Consiglio dei Ministri, e poi dal Ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora, il più longevo della storia della Repubblica Italiana, nonché grande esperto in materia, proprietario terriero e fedele cliente delle Macchine Agricole Garavini.

Dante Garavini premiato da Aldo Moro nel 1974
Dante Garavini con il Ministro dell’Agricoltura, Giovanni Marcora

Furono anni di grandi successi commerciali che proseguirono finché i Fratelli Garavini ebbero l’età e la forza di essere presenti in fabbrica, poi l’azienda -con tutti i dipendenti- fu ceduta. E oggi cosa è rimasto? E’ rimasto molto: un nome limpido, mai toccato da uno scandalo, da un fallimento o da contestazioni varie. Un marchio che era una sicurezza, perché rappresentava prodotti affidabili ed indistruttibili. L’industria Garavini era basata sul rispetto, di tutti: persone, ambiente e in particolare della Civiltà Agricola.